Un pioppo enorme come il pericolo che nascondeva al suo interno.
Siamo in Valtiberina sulle sponde della Reglia dell’Acqua Viola, un corso d’acqua bello e suggestivo, con una originale storia da raccontare.
A pochi passi dalla riva, un gigante da 1,5 m di diametro per un’altezza di oltre 30 metri, da un momento all’altro, rischiava di cadere in alveo e rappresentava ormai una minaccia per l’asta fluviale.
Se ne sono accorti i tecnici del Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno che, durante la normale attività di vigilanza, hanno intuito le precarie condizioni di salute della pianta e hanno programmato l’intervento per la sua rimozione.
“Si tratta di un intervento di tipo puntuale per rimuovere un elemento di pericolosità. Ne stiamo effettuando diversi sul territorio. Questo è particolare, perché ha richiesto l’intervento della tecnica del tree climbing, poiché il soggetto da eliminare non presentava un’area di accesso sufficientemente ampia per poter intervenire con le modalità usuali”, spiega l’ingegner Chiara Lilli del Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno che ha seguito l’operazione.
Al termine la conferma: il “cuore” della pianta era ormai occupato da una grande cavità. Nonostante le apparenze e le dimensioni importanti, il tronco risultava estremamente fragile ed esposto al rischio di schianto o crollo improvviso.
L’operazione scenografica ha permesso di migliorare la sicurezza di una reglia, su cui notizie storiche e fantasiose si mescolano per regalare un racconto che giustifica le tre differenti denominazioni del corso d’acqua e merita di essere ricordato.
Nel 1259, il Tevere (che scorreva ai piedi di Anghiari) fu deviato verso Sansepolcro onde evitare l’impaludamento dell’area. Per ripagare il territorio di Anghiari dell’acqua perduta, fu scavato un canale che, in prossimità del colle di Montedoglio, riportava una parte delle acque del fiume verso Anghiari fino a restituire, a valle di Pistrino, l’acqua concessa in prestito.
Oltre all’irrigazione dei campi, il fosso servì soprattutto per fornire l’energia necessaria ad alimentare le macine dei mulini costruiti lungo il suo corso. Undici in tutto di cui uno, quello di Catorcio, di origine camaldolese, ancora funzionante, a cui si aggiungevano, nel Comune di Anghiari, i cinque posti nella piana del Sovara.
Ad un certo punto la Reglia dei Molini assunse il nome di Acquaviola. E qui la storia si mescola al mito”, racconta l’ingegner Enrico Righeschi, referente della Unità Idrografica Omogenea Valtiberina.
C’è, infatti, che giustifica il nome rifacendosi alla Ninfa “Temperanza” che alle sorgenti del Tevere con due brocche, una con acqua blu ed una con acqua rossa, le versava nel fiume la cui acqua assumeva il colore viola.
Secondo altri il nome deriverebbe dal colore dell’acqua del canale, dovuto alla presenza lungo il medesimo di gualchiere atte alla macerazione della Isatis tinctoria, una crucifera detta comunemente “guado” da cui si ricava il colorante indaco.